Il Museo Nazionale a Bamako
Hotel Sofitel in città
La zona del mercato
Il mercato: zona dei fabbri

MALI
Erede dei grandi imperi d'africa

Un viaggio in Mali è un viaggio etnico, storico e architettonico che da Bamako "riva dei coccodrilli" si snoda fino all'universo dei Dogon, passando laddove i fiumi Bani e Niger si confondono e si erge Mopti "la Venezia maliana", con anche Djennè "città del fango", ed infine Timbuctù "la regina del deserto", della quale si dice:
è meglio vedere con i propri occhi che essere informato da altri…


Per gli antichi romani, per gli uomini del Medioevo e del Rinascimento, l'Africa evocava immagini di ricchezza e regni sontuosi. Era la culla della sapienza e della civiltà. Nella vasta regione bagnata dal fiume Niger, in un periodo corrispondente circa al nostro Medioevo, ebbero origine numerosi regni. Tali regni si espressero in un quadro di avanzata civiltà ed in un ambito sociale, politico e culturale originale sia rispetto all'Islam sia al Cristianesimo. Gran parte dei territori che costituirono i cosiddetti imperi sudanesi fanno oggi parte della Repubblica del Mali. In questa regione il Niger forma una grande ansa che si addentra a nord nel deserto. Grazie alla sua favorevole posizione, questa regione divenne il naturale punto di convergenza di tutti i traffici transahariani che collegavano l'Africa Nera con il Mediterraneo. Le cronache del tempo narrano di carovane cariche di merci pregiate, avorio, ambra, tessuti di seta e vetrerie, spezie ed essenze profumate, ma soprattutto oro e sale, e di quel leggendario re del Mali, Kankan Moussa, che partì per la Mecca con mille dromedari e tanto oro da far crollare il mercato del Cairo per i successivi quindici anni, e poi ancora dello splendore delle corti, di ricche biblioteche e università coraniche. Grandi tradizioni, un grande passato, che si respira nella metafisica bellezza di architetture di argilla, nei cortili ombrosi delle moschee, nelle pagine miniate di preziosi manoscritti, nella fiera eleganza delle genti.
Per secoli il Niger è stato definito dai cronisti arabi "il Nilo dell'estremo Occidente". Come il Nilo scorre attraverso il deserto ed è stato testimone di grandi civiltà: sulle sue rive prosperarono regni medievali; città fluviali come Djenné, Timbuctù e Gao, ricche di storia e cultura, erano chiamate i porti del deserto, oltre ad esserlo per il fiume. Qui le ultime carovane del sale incontrano le esili barche dei pescatori e le grandi pinasse dei mercanti Songhai, Malinké, Barbara cariche all'inverosimile di merci e di passeggeri, nei porti fluviali di Mopti e Segou, mille piroghe danzano sull'acqua e mille riposano attraccate alle banchine. Via vai di piroghe e mercanzie, genti di terra e genti di fiume che danno vita ad una giostra variopinta e chiassosa di uomini in azzurre djellaba o in bianchi burnus, donne avvolte in vesti che sono sciabolate di colore e bambini di tutte le età, venditori di semi tostati e frittelle zuccherate, pecore e zebù, ceste, stuoie e fagotti.




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Annaffiatoi in vendita
I lavoratori nelle baracche
I sarti a riposo
Il ristorante Mande sul Niger

BAMAKO, la capitale

E' la capitale del Mali ed ha una popolazione di circa 1,5 milioni di abitanti. Città molto attiva, con moto ed auto, gente che vende, acquista e fa affari sotto il sole di mezzogiorno. Nonostante tutti i suoi problemi, la capitale del Mali è molto gaia. Sfortunatamente il Grand Marché in stile coloniale è andato distrutto in un incendio nel 1993; dovrebbe essere ricostruito prima o poi, ma per il momento le bancarelle si dispongono all'aperto lungo i marciapiedi e le strade laterali dove ci si perde facilmente poiché tutte le vie sembrano uguali: qui si trova ogni sorta di mercanzia, dai tessuti indaco all'oro e alle cassette di musica africana. C'è pure il tipico venditore di medicine tradizionali. Il Musée National è uno dei migliori musei etnografici dell'Africa occidentale ed è ospitato in un edificio ispirato alle antiche strutture in mattoni di fango tuttora visibili a Djenné: vi è esposta una ricca collezione di arazzi, maschere, tessuti, suppellettili funerarie e armi. Il museo sta cercando con ogni mezzo di preservare i tesori artistici del paese, ma la battaglia ingaggiata con i collezionisti che acquistano illegalmente a Djenné, per pochi spiccioli, le antiche figurine di terracotta si preannuncia ardua.
Bamako si affaccia sulla sponda settentrionale nel Niger. Il quartiere centrale, dove si trovano i mercati principali, negozi, ristoranti, e anche qualche albergo, è situato nel triangolo formato dall'Av. du Fleuve, il Blvd du Peuple e l'Av. van Vollenhoven. Il Grand Marché (o meglio quello che resta del mercato dopo il rovinoso incendio) si trova proprio in centro di questo triangolo.
La città è molto trafficata e non ha nulla di particolare da offrire a parte la sporcizia e la povertà che regna sovrana dovunque. I pochissimi alberghi sono: l'Hotel Salam, il Sofitel, il Mande ed alcuni altri più piccoli di categoria inferiore.



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Hotel de l'Indépendence a Ségou
Il trasporto locale delle merci
I prodotti artigianali
Vita lungo il Niger
SEGOU, la città dei Bambara

E' la principale città della tribu' dei Barbara, con 250 mila abitanti, ed è situata nei pressi dei ruderi di Mbelba, un'antica capitale di questa etnìa. Ségou con i suoi viali di alberi frondosi, costituisce un piacevole diversivo alle strade polverose e trafficate di Bamako ed ha un'atmosfera notevolmente piu' rilassata: conserva in parte il fascino evanescente del suo glorioso passato coloniale e offre una bella istantanea della vita quotidiana di quei tempi. Se si visita di lunedì, non si dimentichi di fare un salto al mercato ove si trova in vendita tra le molte merci, le vivaci stoffe tessute a mano per cui la regione è famosa. Da qui è possibile organizzare anche una gita di un giorno a Niono, nota anche come la Venezia del Mali per il suo sistema di canali ed acquedotti: la sua moschea di fango è quasi altrettanto spesso immortalata in fotografia di quella di Djenné.
Ségou è situata a 220 Km. nord-est di Bamako, lungo il fiume Niger, e si raggiunge in battello o in autobus. I taxi de brousse in servizio da Bamako a Ségou sono meno frequenti.


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Il petit marché di Mopti
Le pinasse per i trasporti
Villaggio di etnìa bozo
Tramonto sul Niger
MOPTI, incrocio di etnìe

La città di 130 mila abitanti è ubicata alla confluenza dei fiumi Bani e Niger. E' una città commerciale vecchia di 100 anni. Alla metà del XIX secolo, Al Hajj Umar fece di quella che era un campo da pesca Bozo una base militare per le sue truppe in guerra nel Massina. Re Ahmadou, il successore del conquistatore musulmano voleva che Mopte, che significa "il ricongiungimento" in Fulani, e che piu' tardi diventò Mopti, diventasse la città della pace e della riunione del suo popolo. Da quel momento, la città ricoprì il suo ruolo di crogiuolo di civiltà, ma diventò pure un centro commerciale dove la gente che arrivava dal sud con le canoe avrebbe incontrato cammellieri del deserto. Mopti quindi prese il posto del ruolo medievale di Djenné come incrocio commerciale, dove si vendeva sale e pesce secco, noci di cola, miglio e riso. Bambara da Bamako e Segou, i Dogon dalla falesia di Bandiagara, Songhai e Tuareg da Gao e Timbuktu', in poche parole, tutti i maliani si sono incontrati a Mopti. Attorno al porto della città possono essere sentite parlare tutte le lingue delle varie etnìe locali. Ogni giorno è mercato a Mopti, ma l'apogeo si raggiunge il giovedì, il giorno del mercato per eccellenza.
L'hotel principale della città è il Kanaga**** ubicato sulle rive del Bani. Da visitare il Petit Marché con frutta, verdura, pesce e carne, e nella parte superiore vari negozi con souvenirs di ogni genere. Sicuramente da fare è un giro in pinasse lungo il Bani ed il Niger, magari visitando il villaggio Bozo (pescatori) poco distante.



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La grande moschea di Djenné
Tuareg al mercato di Djenné
Donne al mercato
Il comune di Djenné
DJENNE', una città modellata nell'argilla

Città dai due volti, di terra e di acqua. Dopo le grandi piene autunnali, Djennè si trasforma in una città lagunare riflessa nelle placide acque del fiume Bani, affluente del Niger. Come a Ganviè, la città su palafitte del Benin, le piroghe cariche di gente e di merci si spingono fin sotto le case, le cui facciate a pinnacoli infondono a Djennè, nella luce radente del tramonto, quell'aspetto irreale tra terra e acqua da Venezia esotica. Djennè già esisteva quando Roma doveva ancora conoscere Cartagine. Frammenti di vasi, perle di vetro, giare e statuette di terracotta, guerrieri e cavalieri di grandezze diverse hanno riportato alla luce ventitré secoli di storia sepolti su una collina alla periferia della città, consentendo quindi di ricostruire il film a ritroso della più antica realtà urbana dell'Africa occidentale. Cuore dei grandi imperi neri sudanesi nota sulle grandi rotte dei commerci, Djennè innalza, nel lontano Trecento, una cattedrale di terra, la cui grandiosità celebra l'opulenza di una classe mercantile ricca ed attiva. L'importanza commerciale della città si coglie anche nella foggia elegante delle abitazioni private: quelle di Djennè sono case di mercanti che amano ostentare il loro benessere. Lungo i vicoli disegnati da muri d'argilla, nelle piazzette polverose, all'ombra dei portali o nel gioco bellissimo dei chiaroscuri, tra archi, lesene e delicati trafori, nella sfilata dei loburu che movimentano terrazze e facciate, il viaggiatore di oggi può ancora leggere le tracce di uno splendido, sconosciuto Rinascimento africano.
La Moschea di Djennè, soggetto prediletto dai fotografi, costruita interamente in fango e completa di torrette aggettanti, si staglia sul panorama desertico della regione. Si tratta della più grande struttura in fango del mondo, nonché uno degli esemplari più raffinati di architettura sudanese. L'unico inconveniente è il fatto che tende a sciogliersi con la pioggia e la si deve sempre risistemare alla fine della stagione umida. Purtroppo i visitatori non musulmani non possono entrare nella moschea da quando un fotografo di moda con un'orda di modelle disturbarono la sua quiete correndo qua e là al suo interno. Ogni lunedì, ai piedi della Grande Moschea, a Djennè ha luogo il più grande mercato di tutto il Sahel. Una fiumana di commercianti appartenenti a tutti i gruppi etnici del Mali invade la piazza con le bestie da soma che trasportano le mercanzie, mentre le zattere traghettano in continuazione gente ed animali spingendo le lunghe pertiche nelle acque poco profonde del Bani. In una straordinaria tavolozza di colori sono ammassate, per terra o sotto piccole tende, tuberi commestibili e verdure, afrodisiaci come la noce di cola, pani di sale delle miniere del Sahara, pesce fresco ed affumicato, miglio, riso, peperoncini, pepe e karkadè. Tutto si trova in questo mercato: monili d'argento, d'oro ed ambra per le ricche Barbara e Soninkè, bubù maschili viola, bianchi e blu, intrugli della farmacopea tradizionale, calzature di pelle tinta e ricamata, borse e bisacce dei carovanieri, profumi ed unguenti, tessuti e tinture vegetali, stoviglie di plastica o di smalto importate, coperte a strisce di Timbuctú, vecchi libri sacri in arabo, ceste colme di papaie e di manghi dorati, catini traboccanti di arachidi che attendono lungo una strada o all'ingresso dei villaggi. Tutta l'Africa è terra di mercati, ed il mercato è soprattutto donna: donne con i piccoli allacciati ai fianchi o addormentati tra le ceste, donne che hanno percorso a piedi decine di chilometri di pista portando sul capo, con la disinvoltura e l'eleganza di regine, polli, frutta e verdura.
Djenné dista circa 400 Km. da Bamako e si raggiunge in autobus o in pinasse (grandi canoe a motore).




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In marcia verso la falesia
Lo straordinario paesaggio
Lo strapiombo della falesia
I granai dogon
La falesia di Bandiagara

Un trekking nella regione dei Dogon, percorrendo la Falaise de Bandiagara, è probabilmente la principale attrattiva di un viaggio in Mali. I Dogon hanno una cultura varia e complessa e sono celebri per le loro opere d'arte: un itinerario a piedi è quindi la soluzione ideale per osservare da vicino le case in arenaria rosa ed i granai scavati nelle pareti di roccia, e per imparare qualcosa sul giardinaggio in spazi minimi. I Dogon coltivano infatti dei minuscoli appezzamenti di terra lungo il ciglio delle pareti rocciose. Se si visita il Mali nel mese di aprile si può assistere alla spettacolare Fête des Masques, con danze e birra di miglio a volontà. L'altra importante ricorrenza della società dogon è il giorno del mercato, che cade ogni cinque giorni: è un momento di grande animazione per il villaggio, che raggiunge il suo apice verso mezzogiorno e viene solitamente ravvivato da burle e pettegolezzi e dall'onnipresente birra di miglio.
La Falaise de Bandiagara è lunga 135 Km. e si estende da Douentza a nord ai dintorni di Bankas, verso sud. Bandiagara, Bankas e Sangha sono tutte località di partenza molto popolari per i trekking: Bandiagara e Bankas distano circa 550 Km. da Bamako, mentre Sangha è situata altri 40 Km. più a nord. Queste cittadine si possono raggiungere in aereo, in autobus o in battello da Bamako fino a Mopti, e con un minibus o un taxi de brousse da Mopti in poi. Il trekking da Sangha fino al villaggio dogon dura circa 2 ore e mezzo, con strapiombi difficilmente percorribili da chi soffre di vertigini. E' necessario avere scarponcini e almeno una bottiglia di acqua. I turisti sono comunque sempre accompagnati dai ragazzi locali che si mettono a disposizione per aiutare durante le discese nelle scarpate. Naturalmente è ben accetta una piccola mancia come ringraziamento.




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I granai dogon
Donne al mercato
Io con i danzatori dogon
Le tipiche maschere dogon
DOGON, il popolo della grande roccia e delle stelle
…ti mostrerò i luoghi sacri, inaccessibili e inviolati, ti svelerò i segreti di un universo dove ogni cosa è magica ed intoccabile…

Il mondo ha scoperto l'esistenza dei Dogon solo una settantina d'anni fa, quando l'etnologo Marcel Griaule andò a studiarne i costumi pensando ad un'etnìa primitiva. Ed invece si rese conto che questo popolo arroccato nell'isolamento di un'impervia falesia conosceva da mille anni i segreti della circolazione sanguigna, studiata dalla medicina occidentale solo nel 1600. Scoprì inoltre che i Dogon conoscevano l'orbita di Sirio B, una stella invisibile ad occhio nudo, molto prima degli astronomi, e che avevano precise cognizioni su Giove e sull'anello di Saturno, sapevano che la luna è sterile ed il sole si consuma. E proprio Sirio B, che essi chiamano Po-tolo, è la stella delle origini, quella che abbandonarono nella notte dei tempi a bordo di un'arca per giungere sulla Terra atterrando con grande vento e grande frastuono. Il mondo, sostengono gli Hogon, i grandi sacerdoti che parlano una lingua misteriosa e segreta, si rinnova ogni 50 anni, quando Po-tolo passa sulla valle di Bandiagara. Gli astronomi hanno appurato che la rivoluzione orbitale di Sirio B dura in effetti 49 anni e 98 giorni. E per celebrare il ritorno di Sirio B, i Dogon celebrano ogni 50 anni la grande festa del Sigi.
Arroccati alle balze rocciose della falaise, i villaggi dogon sono un capolavoro di architettura perfettamente integrata con l'ambiente. L'arte dei Dogon è originale quanto la loro cultura ed è uno dei documenti plastici più interessanti e pregevoli dell'arte africana. L'arte dogon pervade ogni aspetto della vita quotidiana: le immagini degli antenati mitici non figurano solo nei luoghi di culto ma ritornano sui pilastri che sorreggono la togu na, nei battenti delle porte, nelle serrature, nei tamburi e negli oggetti profani del lavoro dei campi. Schematici volti umani, animali mitici come l'antilope, la volpe, il coccodrillo, sono i riferimenti affascinanti di una mitologia arcaica asserragliatasi nel cuore di roccia di una falaise per sopravvivere alle tante vicende della storia. La scoperta dei Dogon attraverso l'opera "Dio d'acqua" di Marcel Griaule (1933) e le pubblicazioni scientifiche che l'hanno seguita a ritmo imponente hanno portato alla conoscenza del mondo un prezioso frammento di saggezza africana: per la prima volta un popolo africano usciva dal disordine "primitivo" e dal regno dell'istinto entro cui la cultura occidentale relegava la cultura negra. Ma questa "celebrità" ha preteso un tributo: i Dogon sono diventati bersaglio privilegiato dei ladri di opere d'arte ed hanno visto disperse memorie della loro cultura nei rivoli del mondo.
Il sistema di valori dei Dogon è basato su un'affascinante e complessa cosmogonia in cui la parola ha un ruolo chiave: la parola è forza vitale, che si dà e si riceve. Ogni aspetto della vita quotidiana ha per questo popolo una valenza rituale: così i movimenti del tessitore sul telaio ripetono simbolicamente il moto dell'universo, il contadino lancia il seme di miglio negli aridi campi disegnando una spirale, la stessa che l'universo ha compiuto per espandersi. Alla terra, che riconoscono come madre, dedicano attenzioni straordinarie, e la disposizione di ogni singolo villaggio non nasce dal caso, ma risponde ad una precisa topografia sacra. Per questo, il visitatore che percorre la terra dei Dogon deve essere istruito affinché non calpesti i luoghi sacri di cui è costellata tutta la "grande roccia": si, perché bisogna sapere che un qualunque elemento in apparenza insignificante, sia esso pietra, albero, animale o manufatto, custodisce uno spirito. Anche qui, nell'universo primordiale della falaise, la storia che i Dogon sono riusciti a tenere lontana per un millennio sfuggendo all'islamizzazione imposta dagli Almoravidi e resistendo alle incursioni dei cavalieri della pianura, sta cingendoli d'assedio. La maggior facilità di contatti e di interscambio producono giorno per giorno approcci e comportamenti che non sono più compatibili con la tradizione e l'universo fragile della falaise.


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Pinasse piena di gente
Mopti, sulla riva del fiume Bani
vita lungo il fiume
villaggio di pescatori bozo
NIGER, il grande fiume
Il fiume racconta la vita
…silenzi, quotidiane fatiche, nella terra dove nulla è per caso…, gesti arcaici ripetuti all'infinito…

Via di comunicazione tra i popoli dell'Africa Nera ed i Paesi Sahariani, culla di antiche civiltà, il Niger riserva ancor oggi il fascino delle grandi vie d'acqua. Lungo il suo corso vanno a morire le piste carovaniere di un tempo, paesaggi fluviali si alternano a dune di sabbia, città d'argilla a nuclei di capanne e villaggi, le folle variopinte dei porti e le grandi piroghe lasciano il posto alle esili imbarcazioni dei pescatori che dondolano qua e là, tra cielo ed acqua. Le genti del Mali lo chiamano "Djolibà", che in lingua malinké significa "il grande sangue". Arteria di vitale importanza nella vita e nell'economia dei popoli del Sahel, il Niger nasce in Guinea, nel massiccio del Fouta Djalon, attraversa il Mali per quasi duemila chilometri formando un immenso delta interno, lambisce il deserto nel punto più settentrionale del suo corso disegnando una grande ansa tra Timbuctù e Gao, confine etnico-culturale fra due mondi, per poi piegare nuovamente verso sud e raggiungere, attraverso la Repubblica del Niger e la Nigeria, l'Oceano Atlantico nel Golfo di Guinea.



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Moschea di Djinguere-ber
La casa di Gordon Laing
Il deserto a Timbuktu'
Splendido ragazzo tuareg
TIMBUKTÙ, la regina delle sabbie

Città delle scienze, di fiorenti università coraniche, di saggi e venerati marabutti sorta all'incrocio delle grandi piste carovaniere che collegavano il Mediterraneo all'Africa Nera attraverso le immense distese del Sahara, Timbuctù raggiunse il suo massimo splendore nel XVI secolo con una popolazione di centomila abitanti (oggi ne ha 35 mila), campionario dei diversi gruppi etnici degli imperi sudanesi del tempo: berberi, arabi, mauri, haussa, fulani, songhai, bambara, tuareg, che si insediarono costruendo ognuno il proprio quartiere attirati dalle lucrose prospettive commerciali e dalla fama degli ambienti intellettuali. L'università islamica di Timbuctù diventò celebre a tal punto che dall'Egitto, dalla Persia, dalla Spagna e da tutto il Maghreb affluirono letterati e scienziati, teologi e docenti. Sotto i colonnati d'argilla delle sue moschee studiavano e dissertavano ventimila giovani, centinaia di scrivani compilavano in arabo i volumi di una biblioteca immensa che ha lasciato antichissimi Corani miniati in oro, trattati di fisica, teologia e astronomia. La biblioteca del santone musulmano Ahmed Baba, conserva 12 mila preziosi manoscritti: è la memoria della città. Timbuctù apparve per la prima volta in una mappa del XIV secolo. Il cartografo la chiamo' Tembuch. I tuareg che trecento anni prima avevano fondato un insediamento ai confini del Sahara ne avevano affidato la vita quotidiana ad una donna di nome Bouctu. Da allora Timbuktu (Tombouctou per i francofoni), il pozzo di Bouktu, ha fatto impazzire gli uomini. Città-leggenda, città-mito di ogni viaggiatore, città-frontiera, città-mistero, "regina delle sabbie". Cinquantadue giorni di viaggio in dromedario da Zagora, in Marocco; quindici giorni di carovana dalle miniere di sale di Taoudéni, tre giorni di navigazione da Mopti: Timbuktù esiste sul serio. Città di sabbia e polvere, città sbriciolata e diroccata. Bruce Chatwin, anni fa, la liquidò sprezzante: "Non è bella per niente". Ha ragione Chatwin. Ha torto marcio. I tuareg spiegano: "La parola di Dio, le piccole storie, i racconti felici, le cose sapienti le troviamo solo a Timbuktù". Città dove le donne mostrano un solo occhio perché nessun uomo al mondo potrebbe "reggere il loro sguardo senza impazzire". Città senza mura perché "la sua bellezza, da sola, fermerebbe qualsiasi nemico". Timbuktù sono le cinquecento colonne che sorreggono le volte della moschea di Djinguere-ber, eretta nel 1325.
Targhe murate in pareti di fango ricordano le case dove si nascosero i primi bianchi giunti a Timbuktù: il maggiore inglese Gordon Laing, che fu ucciso dai suoi uomini e non riuscì a raccontare la sua impresa; l'esploratore francese Renè Cailliè che arrivò travestito da arabo; il geografo tedesco Henrich Barth che impiegò cinque anni per attraversare il deserto. E non si dimentichi che Paperino, per sfuggire a Paperon de' Paperoni, scappava sempre a Timbuktù, luogo irraggiungibile.
Il modo migliore per raggiungere Timbuktù è la navigazione lungo il fiume, sia con un battello passeggeri che con una pinasse. Se il livello del fiume è troppo basso e non consente il passaggio delle barche, si può utilizzare una jeep 4x4. La distanza da Mopti a Timbuktù è di circa 420 Km. Da Mopti a Douentza la strada è asfaltata; quindi inizia una pista sterrata di 200 Km. che porta fino al fiume, attraversabile con ferry, quindi c'è la strada costeggiata da alberi di eucalipto di 15 Km. per giungere alla mitica Timbuktù. Durante il tragitto non esiste traffico, come pure ristoranti o alberghi. E' importante avere con sé acqua ed un buon autista che sia anche meccanico nel caso l'auto si fermi: si attraversa il deserto con cespugli dove non c'è nulla. Qua e là, ogni tanto, qualche capanna e capre...

La parola più usata in giro: Tubàbu (uomo bianco). I bambini sono i primi che chiamano i turisti con questa parola, chiedendo un cadeau (regalo).

Cambio del 06 aprile 2005:
1 € = 655,21 F.CFA (franchi della Communauté Financière Africaine)
1 USD = 509,18 CFA
Ad ogni transazione viene applicato il 2% di commissione.